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giovedì 24 giugno 2010

CACIO VINTO NON SI RIGIOCA! (Diario mondiale - Terza puntata)



Tutto scritto nella seconda puntata nel diario, purtroppo...

Il film di oggi, per chi come me cerca di osservare con la massima attenzione ogni dettaglio, ogni particolare, tecnico, tattico, psicologico, era un film purtroppo già scritto,nel suo svolgimento e nel suo epilogo, anche se ho tifato fino all'ultimo respiro, fino al liscio di Pepe e oltre, sperando che ci fosse un ultimo calcio d'angolo e che il liscio fosse stato "solo" una deviazione del difensore slovacco.

Nessuna sfortuna, nessun rimpianto: abbiamo meritato il nostro destino, come fu, nel bene, nel 2006. Allora fu un gruppo granitico di uomini disposti a tutto pur di vincere, stavolta un'accozzaglia di ragazzi confusi e spauriti.

Vado a sfogliare l'almanacco dei mondiali...come fece Vittorio Pozzo a vincere due mondiali di seguito? Certo stiamo parlando...del secolo scorso, ma gli uomini formano gruppi e vittorie (o accozzaglie e sconfitte) nello stesso modo, indipendemente dallle epoche. Leggo le formazioni azzurre delle due finali, del 1934, a Roma e del 1938, a Parigi...e ritrovo un dato che la mia memoria sembrava ricordare (non sono così vecchio...si tratta solo di...letture adolescenziali...).

Ebbene, nella finale di Parigi 1938 c'erano soltanto due giocatori (e che giocatori! Parliamo di Meazza e Ferrari, cioè di due "campionissimi" del calcio italiano di tutti i tempi) sopravvissuti alla finale di quattro anni prima. In un'epoca decisamente meno competitiva di quella attuale, Pozzo ebbe il coraggio di capire che solo rinnovando totalmente la squadra vincente di quattro anni prima avrebbe potuto sperare di rivincere...

Mario Sconcerti nel dopo partita di Sky ha evidenziato un aspetto a mio avviso di eccezionale perspicacia per cogliere una delle chiavi di lettura di questo mondiale che sembra totalmente in mano al calcio sudamericano e che vede stentare quasi tutte le grandi d'Europa: negli ultimi 10 anni oltre cinquemila calciatori (!!!) sono emigrati dalle Americhe verso l'Europa, per migliorare le proprie condizioni di carriera.

E noi? E noi oggi rispondevamo con:




  • Marchetti, portiere del Cagliari (14◦ quest'anno in Italia);


  • Criscito (Genoa, 9◦);


  • Zambrotta (Milan, 3◦, reduce da una stagione piena di infortuni e prestazioni modestissime);


  • Cannavaro e Chiellini (Juventus, 7ª, il primo come Zambrotta);


  • De Rossi (Roma, 2ª);


  • Gattuso (quest'anno riserva nel Milan, 3◦, vedi Zambrotta);


  • Montolivo (Fiorentina, 11ª).


E in attacco? I dati più clamorosi, dove abbiamo chiuso la partita con:





  • Iaquinta (Juventus, 7ª, reduce anche lui da una stagione piena di infortuni);


  • Quaglierella (Napoli, 6◦);


  • Pepe e Di Natale (Udinese, 16ª e protagonista di un campionato ai margini della zona retrocessione).


Per fare un paragone: l'Argentina, che rischia seriamente di vincere il mondiale, ha "rinunciato" a due autentiche "colonne" dell'Inter che ha un attimo vinto la Champions quest'anno, come Cambiasso e Zanetti (che magari li avessimo avuti noi!).



E noi? Andiamo all'assalto della Slovacchia con un attacco che in tre elementi su quattro (Pepe, Iaquinta, Di Natale) ha giocato in squadre, Udinese e Juventus, che hanno collezionato prestazioni imbarazzanti.



Se però una volta tanto usciamo dalla solita logica provinciale del "manca questo, manca quello..." spingendo questo o quell'altro dei nostri idoli domenicali e cerchiamo di guardare con un po' di onestà intellettuale il peso di tutto il movimento calcistico italiano, raffrontato con le altre grandi scuole calcistiche, ci rendiamo conto che i migliori delle nazionali migliori girano il mondo per cercare di fare sempre le migliori esperienze possibili (chi era Zanetti prima di venire in Italia, ad esempio?), mentre noi schieriamo (e neanche sempre) i migliori di squadre che hanno poche esperienze internazionali e che gravitano nelle posizioni medie del campionato italiano.



E allora c'è un problema strutturale del nostro calcio, un problema di fondo, di competitività complessiva del nostro movimento, che si legge anche nel rendimento sempre peggiori delle nostre squadre di club a livello europeo...

E in più, vale quanto scritto nella scorsa puntata del diario, sulla difficoltà di amalgamare il gruppo storico, con i "giovani", come ricordavo avvenne nell'86 (e oggi Tardelli, protagonista dell'82 e poi del successivo fallimento messicano, lo ha ricordato).

E per risposta a Tardelli, Paolo Rossi, protagonista di Spagna e Messico al pari di Tardelli, se ne esce con un proverbio toscano straordinario: "Cacio vinto non si rigioca!".

L'unico vero gol di questo mondiale... lo ha fatto ancora una volta lui...

PS: ...peccato per Fabio....avete visto che prodezza?

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