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venerdì 25 giugno 2010

Diario mondiale - Quarta puntata...arroganza mondiale


Il pianto di Fabio, l'unico forse a salvare l'onore azzurro Italia, che ha commosso tutti i tifosi più autenticamente azzurri (intesi come azzurro Italia) e naturalmente tutti i napoletani, simboleggia una delle sconfitte più atroci e dure della storia del calcio italiano.

Sconfitta atroce e dura perchè frutto non solo di una serie di debolezze tecniche, ma prima di tutto per quella arroganza che rende ciechi e con la quale si rifiuta di vedere persino l'evidenza.

I "non so...non me lo aspettavo..." sparpagliati qua e là nell'autoaccusa di Marcello Lippi sono proprio il segno di una sicurezza divenuta man mano sicumera e poi vera e propria arroganza.

Il guaio è che Lippi, per sua stessa ed esplicita ammissione, voleva "rigiocare il cacio vinto" (volendo usare le parole dello splendido proverbio toscano tirato fuori da Paolo Rossi) per rivivere le emozioni di una avventura per sua natura irripetibile come quella di Germania 2006.

Un'idea presuntuosa già in partenza...per carità: sfidare i limiti è l'essenza dello sport, ma ogni sfida, anche quando viene ripetuta, va giocata come fosse sempre la prima volta e quindi con l'umiltà con cui, tanto per dire, la stessa Italia ha trionfato nell'82 o nel 2006.

Quando sentivo, alla vigilia della sfida decisiva con la Slovacchia, più "puzza" di Messico 86 che "profumo" di Spagna 82, avevo in mente proprio le lunghe interviste premondiali di Lippi, oltre che, naturalmente, la fragilità tattica e morale evidente di questa squadra. E mi irritavo sempre di più per i continui riferimenti all'avventura spagnola, dove, per inteso, nessuno, nemmeno gli stessi protagonisti di quella impresa, immaginavano quello che sarebbe potuto succedere!

Del resto di arroganza è piena la storia dei mondiali, e spesso l'Italia ha beneficiato dell'arroganza altrui e trionfato, come nell'82 in Spagna, davanti ad un Brasile innamorato della propria forza, o come nel lontanissimo 1938, quando, sempre col Brasile, in semifinale, l'Italia battè i sudamericani (all'epoca non ancora verde-oro) che decisero di risparmiare il loro fortissimo centravanti Leonidas per la finale che erano certi di giocare tanto che avevano già prenotato il viaggio per Parigi.

E si potrebbe continuare, sempre col Brasile, esperto in arroganza, a cui nel 1950, in casa, sarebbe bastato un pareggio con l'Uruguay nella partita finale del torneo (in quel mondiale non si giocò una vera finale ma un girone a 4 squadre di cui la partita con l'Uruguay rappresentava l'ultimo incontro). Il Brasile passò anche in vantaggio e l'allora nuovissimo Maracanà era ormai certo della vittoria, ma l'Uruguay distrusse un sogno e un paese, segnando due gol negli ultimi minuti e vincendo il mondiale!

E vogliamo parlare degli inglesi? Si consideravano campioni del mondo a prescindere, per aver inventato il gioco del calcio, e fino a dopo la seconda guerra mondiale a stento si "degnavano" di abbassarsi a giocare qualche amichevole con squadre che consideravano degne di sfidarli. Finalmente nel 1950 disputarono per la prima volta un mondiale e, dall'alto della loro arroganza, si beccarono una sconfitta contro gli statunitensi che compete, per clamore, con la storica sconfitta azzurra contro la Corea del Nord, ai mondiali inglesi del 1966.

Anche quella sconfitta azzurra fu figlia dell'arroganza: gli "undici Ridolini", come furono ribattezzati dagli osservatori azzurri per la loro frenetica velocità, invece di preoccuparci (considerando che venivamo da circa 30 anni di batoste internazionali in mondiali ed europei), ci fece ridere...poi a ridere furono i "Ridolini" coreani, che, superato il turno, misero alle corde anche il Portogallo del mitico Eusebio.

Mi fermo qui...potrei fare molti altri esempi solo ripercorrendo la storia dei Mondiali...potrei parlare di quel Roma-Lecce, incubo di tutti i tifosi giallorossi...Insomma: la storia del calcio, e dello sport in generale, è piena di sconfitte clamorose maturate per arroganza e superficialità.

Il terrore di cui ha parlato Lippi è la conseguenza psicologica di una preparazione mentale all'impegno sportivo basata sull'arroganza: sei convinto di farcela, incontri degli ostacoli che non ti aspetti, ti blocchi, perchè non sai come venirne fuori.

Una cosa è credere in se stessi, avere autostima sportiva, altro conto è sottovalutare gli avversari, anche quelli sulla carta più deboli...e la Slovacchia, io l'ho vista contro Nuova Zelanda e Paraguay, è una squadra di una modestia imbarazzante....ma noi...per carità...figurati se i campioni del mondo non si qualificano!

Quando nella tua testa ti immagini un impegno sportivo in un certo modo e la tensione ti attanaglia, ti paralizza, i muscoli non rispondono, il cervello non gira, la sconfitta diventa inevitabile...e poi, guarda caso, la palla non entra, la sfortuna si accanisce e così via.

Ma l'Italia non ha mostrato un'unghia di quell'audacia che attira la fortuna e la sfiga, sempre, ci vede benissimo, anche e soprattutto quando si scende in campo con l'arroganza.

E quando vedi un Giappone dove tutti si aiutano, corrono, mordono, ma nel contempo trattano la palla in modo vellutato, mettono in porta, con due giocatori diversi, due punizioni da lontano una più bella dell'altra (sintomo che il terribile "Jabulani" se lo sono studiato per bene!) allora capisci che significa costruire una squadra e lavorare ossessivamente su ogni dettaglio fisico, tecnico e tattico.

Magari non vinceranno il mondiale, ma certamente i nipponici si sono laureati ieri campioni del mondo di umiltà, nel giorno in cui i campioni del mondo di calcio si laureavano campioni del mondo di arroganza.

Spero di non dover vivere 40 anni nell'arroganza, come gli inglesi che, arroganza dopo arroganza, non vincono un titolo da 44 anni: rivoglio la nostra umiltà, quella dei giorni più belli e, per favore, dei giocatori che magari sanno anche trattare la palla come si deve...

...perchè in questo mondiale, piccolo dettaglio,abbiamo dimenticato anche questo...

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