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mercoledì 27 aprile 2011

La guerra dei diritti televisivi: Lega Calcio spaccata!

Offro alla vostra attenzione un commento pubblicato oggi a firma di Pippo Russo (pag.18 de IL FATTO QUOTIDIANO ) che descrive in dettaglio i termini della spaccatura in atto nella Lega Calcio, spaccatura di cui la vera (o presunta) "scazzottata" tra De Laurentiis e Lotito prima di Napoli-Lazio ha rappresentato uno dei segnali più evidenti.



Calcio, il diritto (televisivo) del più forte
di Pippo Russo 
 
     Nel conflitto esploso all’interno della Lega calcistica di Serie A, in materia di distribuzione dei proventi dei diritti televisivi, ha finalmente portato alla luce la madre di tutte le contraddizioni insite a un’istituzione che andrebbe profondamente ripensata. Contraddizioni che vanno sintetizzate nel seguente interrogativo: al giorno d’oggi una lega sportiva professionistica protegge gli interessi di tutti i suoi associati, o deve portare avanti innanzitutto quelli dei suoi esponenti economicamente più forti? Un interrogativo che va oltre la circostanza specifica, e che mette in questione la stessa matrice istituzionale dell’ organismo presieduto da Maurizio   Beretta– la Lega, appunto – che nato per tutelare interessi di parte (quelli dei suoi associati) rischia di rimanere strozzato dall’emergere di particolarismi ulteriori.



   IL CASUS BELLI È presto spiegato. La legge Melandri (decreto legislativo n. 9 del 2008) ha determinato, a partire dal campionato in corso, un ritorno alla cessione collettiva dei diritti televisivi sulle partite del campionato di Serie A. Una scelta che ha posto fine a un regime di cessione dei diritti individuali il cui effetto principale è stato l’allargamento a dismisura della differenza economica fra i club più ricchi e quelli meno ricchi, e dunque percepita dai big del pallone italiano come una sorta di esproprio; ma alla quale essi hanno dovuto   piegarsi. Salvo cercare di far valere il loro strapotere per altre vie: segnatamente, cercando di imporre criteri di distribuzione a loro sfacciatamente   favorevoli. Potendo giovarsi, fra l’altro, di una formula della redistribuzione che di per sé è bizantina come poche. Per dare un’idea, in Inghilterra i proventi della cessione collettiva vengono distribuiti come segue: 50% in parti uguali a tutti i club della   Premier, 25% sulla base dei piazzamenti del campionato precedente e 25% in proporzione ai passaggi televisivi di ogni club. In Italia, invece, è stato possibile architettare l’obbrobrio che andiamo a illustrarvi. Il 40% è diviso in parti uguali. Un altro 30% è distribuito secondo ‘i risultati delle ultime stagioni’ e la ‘storia dei club’: il che corrisponde a un 10% che tiene conto dei piazzamenti del campionato   in questione, un 15% riferito ai piazzamenti degli ultimi 5 campionati, e (udite, udite!) un 5% calcolato su tutti i campionati a partire dal 1947 (i precedenti, coi 9 scudetti vinti dal Genoa, vengono considerati carta straccia). Un altro 5% viene distribuito tenendo conto degli abitanti del comune in cui ha sede il club (e in questo caso, come conteggiare gli abitanti delle città che hanno due club partecipanti al torneo?). Infine, il 25% che ha scatenato il conflitto: si tratta dei 200 milioni (sul miliardo annuo complessivo) da distribuire secondo il ‘bacino d’utenza’, entità metafisica che nessuno è stato in grado di rendere misurabile.   Attorno a tale misterioso elemento si è registrata la spaccatura nell’assemblea di Lega del 15 aprile: 15 club hanno deliberato di affidare la definizione dei bacini d’utenza a tre diversi istituti demoscopici. Contro questa delibera si sono schierati i 5 club che, incidentalmente, sono anche quelli che sono o ritengono d’essere i più ricchi e seguiti: Inter, Juventus, Milan, Napoli   e Roma. Che hanno dapprima presentato un ricorso alla Corte di Giustizia Federale avverso alla delibera del 15 aprile; e successivamente hanno bloccato la stessa delibera con un voto espresso nel Consiglio della Lega stessa (nel quale tutti e 5 i club sono presenti) tenuto il 22 aprile. Col risultato che l’esecutivo espresso dall’assemblea ha contraddetto una decisione dell’assemblea stessa.



   PROPRIO in quest’ultimo elemento si addensa la contraddizione: è ancora possibile una reale democrazia all’interno del calcio italiano odierno, nel quale gli attori più forti sono convinti che i voti debbano essere pesati anziché contati? L’interrogativo pone una questione seria, che temiamo non riguardi soltanto   il microcosmo istituzionale del calcio: quella della ‘ribellione delle élite’, come Christopher Lasch ebbe a definirla. E, in siffatto clima, è bene riflettere sulla mission che una lega sportiva professionistica deve darsi al giorno d’oggi. 

 

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