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lunedì 6 settembre 2010

De Laurentiis a Tuttosport

De Laurentiis, il suo Napoli oggi compie sei anni. Tanti o pochi?
«Né tanti, né pochi. Se penso a quello che abbiamo creato, sono trascorsi in fretta: il calcio non si ferma mai, bisogna abituarsi a modificare le proprie idee e avere la forza di cambiare quelle degli altri».

Il 6 settembre 2004 Aurelio De Laurentiis prende il Napoli: 35 milioni di euro cash sulla scrivania della curatela fallimentare ed ecco il Napoli Soccer sulle ceneri della fallita SSC Napoli.
«Fui attratto dall'idea di dover ripartire da zero. Presi la decisione in un secondo lasciando di stucco moglie e figli».

Sei anni fa mancavano palloni, maglie, la squadra e un campo per allenarsi. Oggi il Napoli è in Europa.
«Dissi che ce l'avremmo fatta in cinque anni: al quarto eravamo già tornati in Europa».

Di calcio capiva poco...
«Però lo trovo più semplice del cinema: devi saper apprendere i meccanismi giusti».

Ventura il primo allenatore.
«Mi ricordava Alberto Sordi nel film “La vita difficile”. Però un tipo molto simpatico. A giudicare dai risultati, è portato per la serie A, la C forse dava pochi stimoli».

Primo anno, niente promozione. Fu una mazzata?
«Sì. Ma trasformai la delusione in un gesto d'amore: la sera della sconfitta ero a cena con Reja e programmavo il futuro».

C'era feeling con il friulano.
«Un brillante a 24 carati, persona eccezionale. Ce le siamo dette di tutti i colori ma con me è molto difficile lavorare».

C'era una mezza promessa di Carraro a ripescare il Napoli in B. Poi?
«Poi niente. Ogni sera, prima di andare a letto, io premo il tasto reset e lascio tutto alle spalle. Altrimenti mi prende un colpo e mollo tutto, nel calcio come nel cinema. Non ci ripescarono, ma subito dopo scoppiò Calciopoli».

Marino è un mio fratello: sono parole sue?
«Calcisticamente mi ero messo nelle sue mani. Al terzo anno ho capito che qualcosa non andava. In A volevo cambiare allenatore, mi fu imposto di no. Pensai a Mazzarri: mi venne offerto a condizioni superiori rispetto a quanto mi è costato un anno fa. Non condividevo più alcune scelte di Marino, non facevano parte della mia filosofia di lavoro, e così addio».

Non c'è grande amore con i tifosi delle curve.
«Il tifoso ha una sua cultura, una sua mentalità e una sua logica: non si può andare contro questa logica, quella del tifoso è una voce dello stadio e io la rispetto».

Mai il Napoli in Borsa, perché?
«Perché quotare una società significa fare affari in un momento di grande successo. Il Napoli mi appartiene, in Borsa è come se lo alienassi».

È vero che il Napoli ha cambiato la sua vita?
«Certo. Prima mi davo tutto al cinema e stavo per mettere su casa a Los Angeles. Ora trascorro il settanta per cento della giornata a parlare di calcio. E nell'altro trenta credo di aver prodotto comunque dei film straordinari».

Come si regge questo ritmo a sessant'anni?
«Di solito, dopo i sessanta si rallenta. Io ho deciso di accelerare: con il cinema voglio conquistare la Cina, l'India e gli Usa. E mi tengo stretto il Napoli. E poi non ho sessant'anni: ho compiuto vent'anni per la terza volta».

C'è un giocatore al quale è particolarmente legato?
«Il Pampa Sosa è stato il mio primo acquisto. Ma ammiro anche Cannavaro, il Pocho, Hamsik. Da buon padre, non faccio preferenze».

Con i procuratori non va d'accordo.
«Nemmeno nel cinema vado d'accordo con gli agenti degli attori. Credo che ogni calciatore debba possedere la cultura necessaria a gestirsi da solo, oggi sembra invece che siano inadatti a fare qualsiasi cosa che li riguardi direttamente».

Pentito di aver scelto Donadoni dopo l'esonero di Reja?
«Donadoni è un signore ma non si è rivelato adatto per noi».

Un anno fa Lavezzi ruppe con Marino e il Napoli rischiò di perderlo.
«Con il Pocho abbiamo chiarito tutto a quattr'occhi».

È diventato consigliere di Lega. Un modo per tutelare il Napoli che da 23 anni non entrava nel Palazzo?
«No, era un passo necessario perché la Lega è cambiata e bisogna acquisire sempre maggiore autonomia».

Un aggettivo per Mazzarri.
«Mi ricorda l'omino Michelin: non resterà mai a terra con la ruota bucata».

Con Mourinho non ve le mandaste a dire.
«È capace e bravo. Il bello è che ci crede davvero, si prende troppo sul serio».

Ci ha provato con Balotelli?
«A maggio l'avevo chiesto in prestito a Moratti. Ma lui aveva intenzione di fare cassa, certe cifre non facevano per me».

No a Fabio Cannavaro e a Toni per la carta d'identità. Però è arrivato Lucarelli.
«Lo ha voluto fortemente Mazzarri, è convinto di vincere questa scommessa. E io l'ho accontentato».

Quagliarella via: con lui non c'era mai stato gran feeling.
«Puoi essere un campione e non integrarti alla perfezione in un determinato contesto. Meglio che trovi sfogo altrove».

Era proprio necessario privarsi di Cigarini?
«È l'allenatore che porta avanti il progetto tattico. Tecnicamente il ragazzo non si discute, sono contento che in Spagna stia facendo bene. Ricordatevi che l'ho dato solo in prestito».

Platini e Blatter hanno ridotto l'Europa League a una coppetta: conferma?
«Confermo. Perché chi va fuori dalla Champions, viene ripescato in Europa League? E noi chi siamo, sparring-partners?».

Scudetto o Champions?
«Champions senza dubbio. Ti fa diventare internazionale».

Ha detto: calcio vecchio, governato da vecchi. Rimedi?
«Primo: garantire l'autonomia completa dei club. Poi tasto reset e via, rifondare tutto prendendo a modello la Formula Uno o l'Nba di basket».

La limitazione degli extracomunitari?
«Un'assurdità, le frontiere andrebbero spalancate. Il provincialismo del nostro calcio sa quasi di fascismo».

Quest'anno ha ingaggiato Robert De Niro e Cavani: sono i suoi colpi più grandi?
«Lo spero».

Mai pensato di mollare il Napoli?
«Mai».

E il cinema?
«Il cinema è un atto d'amore».

Il momento più bello?
«Me li godo tutti».

Il più brutto?
«Nessuno».

E se arrivano, tasto reset. Vero, don Aurelio?

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